Chi doverebbe andare in volta [sul pulpito] e comandare, sta serrato (L'archivio a casa 2)
Il 27 giugno 1656, da una Napoli ormai in preda alle febbri della peste, un cronista che non si firma rende conto dello stato delle cose a un suo interlocutore che ha interessi in città ma che si trova altrove; si tratta molto probabilmente di Vincenzo Velluti Zati.
La scena che si descrive è delle più drammatiche ed è scontato che l’"ordinario", cioè quel corriere che in un dato giorno della settimana portava la posta da una città all’altra, non sia potuto arrivare a Napoli.
Nella descrizione desolante dello stato della città, al culmine del contagio, e della mancanza di risorse per farvi fronte, si coglie la nota polemica contro chi dovrebbe comandare e non lo fa e contro chi non esegue quei pochi ordini che vengono dati. I galeotti si rifiutano di collaborare, gli Stati amici voltano le spalle, chi può fuggire se ne va; mancano medici, pane e medicine: non si colgono note di speranza e sembrava allora, davvero, di non poterne uscire. Ma anche la Napoli del Seicento ne uscì e, dopo, nulla fu come prima.
Napoli 27 Giugno 1656
Manco questa settimana delle solite amorevolissime di Vostra Signoria Illustrissima per non esser peranco venuto l’Ordinario di coteste parti, in quanto alla miseria del male qui corrente, posso con grande discontento dirle che le cose caminano con disordine tale che si può dire che più presto si è qui in una sepoltura che in una Napoli, poiché per la Città vi sono da dodicimila morti insepolti e vi sono cadaveri di 7 o 8 giorni che perciò credo che ammorberanno di maniera l’Aria che il tutto resterà incenerito.
In Campagna contiguo alla Città, perché sono piene tutte spelonche e fosse, restano dissotterrati più di quindicimila Cadaveri e domenica passata, essendosi mandati cinquecento huomini alla ciurma di queste Galere per far fosse per sotterar dette Genti, li predetti si rebellarono e procuravano darsi alla fuga et ancorché havessero maltrattato i loro Guardiani, con tuttociò questi aiutati da circa sessanta franzesi remiganti che erano fra detta Ciurma, la rimessero e posero all’obbedienza.
Per levar li morti dalla città si sono mandati fuora ministri d’Autorità per far venir li Carri per levarli, però sin ora non compariscono, fra tanto ne cadono degli altri et il male sempre si fa maggiore; io però mi comincio a dire che Dio habbia destinato distruggere questa Città perché vi sarebbe il modo e non si fa, atteso che, chi doverebbe andare in volta e comandare, sta serrato, e gli ordini si danno e non si eseguiscono. Povera Città che in tante occasioni ha mandato fuora eserciti e milioni per difendere altri Regni. Oggi non si trova chi la soccorra. [...]
Qui si vedono le Spezzierie serrate e già esauste di medicamenti e [i] Medici [in] parte fuggiti e gl’altri morti, se bene ci sono farine non si trova pani per la Città perché li Panettieri se ne sono fuggiti e morti, e come che li casali convicini sono pieni di nobiltà e gente ritiratavisi. Questi si pigliano tutti i rinfreschi che solevano condire questa Città, di Pollami, d’Huova e di ogni bene e qui in penuria; infine il Poveretto più degl’altri combattuto con la Peste e con la fame e periscie dell’una e dell’altra, e mezzi morti si vanno a porre su le Porte delle Chiese, e quivi rendono lo spirito.
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Un pulcinella con la chitarra, dipinto nel 1657, un anno dopo la peste, compare in una tela di Karel Dujardin, Les Charlatans italiens del 1657 (da Les Bas-fonds du baroque, Catalogo della mostra, Roma, Villa Medici, 2015, p. 191)