Hora è un hora di notte e son sforzato poiché son pieno fino alla golla (L'archivio a casa 8)
Il vaso, già pieno, trabocca la sera del 10 luglio 1610 dopo l’ennesima intemperanza della zia Lucrezia. Al termine di un lauto pasto, dato presso la villa della campagna bolognese, a base di gnocco “sfoliato” e fritto, tortelli ripieni, pesce di fiume, burro e uova, la zia si alza insoddisfatta dicendo “che non vi era da cena a suo modo” perché forse, a suo parere, un po’ troppo pesante.
I coniugi Bentivoglio, Alessandro e Caterina, avevano deciso di ripararsi dalla calura cittadina di Bologna cercando refrigerio nella loro dimora di campagna. Con loro, in quei giorni, c’è anche Lucrezia Alamanni, sorella del padre di Caterina, che li aveva raggiunti da Firenze: quello che avrebbe dovuto essere un tranquillo soggiorno, cadenzato da piacevoli giornate e appetitose tavole imbandite, si rivela un enorme disastro.
Lucrezia aveva già criticato la disposizione della casa e preteso un materasso supplementare; aveva poi fatto “gran rumore” per non aver trovato i nipoti ad aspettarla. Alessandro, che vanta discendenza da Bianca Cappello di cui è il nipote, la notte stessa della cena contestata si vede costretto, suo malgrado, a importunare il suocero Andrea Alamanni. Nella lettera che gli invia si scusa per il "disgusto" che gli dà e gli racconta “le gran scortesie che ricevemo da questa femina”, chiedendogli di far venire a prendere la sorella “per suo figliolo”, il cugino Francesco Maria Bruni.
Molto Illustre Signore Suocero Osservantissimo
Hora è un hora di notte e son sforzato poiché son pieno fino alla golla perchè la Signora Lucretia si è levata questa sera da tavola et ha cominciato a sbotonegiare tra la famiglia, che non vi era da cena a suo modo; però vi era quanto che li dirò: uno sfoliato, un piato di tortelli, pesce di fiume libre 2, buro fresco, frittate ove.
Per[ci]ò la prego, per le viscere di Jesu Cristo, a farla venire a pigliare per suo figliolo, se non che son sforzato a torli una lettigha e dirli che vada a far la patrona a casa sua poiché se non se li dà la man ritta in carezza leva il grugno, l’altra vuole che la carezza vada a suo modo tutto il giorno, e non si pensa altro che dirmi che la stasi bene a casa sua.
D’altro, noi siamo in villa et habbiamo un materazzo per uno et Dino ha bisognato mandarne a pigliare uno altro poiché diceva non esser usa a casa sua con un materazzo. D’altro, ha volsuto le stanze a suo modo, lei se né andata a stare una mattina dalla Signora Impolita in villa et poi vi è stata duoi giorni et quando arrivò alla nostra villa non ci trovò et qui la fece un gran rumore che non l’havevamo aspettatata.
Non li volio dire altro, poiché empirei cento fogli a racontare le gran scortesie che ricevemo da questa femina, ma l’habbiamo soportata me et la mia moglie per mostrare il desiderio che habbiamo di satisfare et contentare vossignoria. Hora la cerchi altra provissione di questa mala femina perché non volio a modo niuno questo giasso (chiasso) mattina e sera in modo alcuno, poiché ho soportato tanto che hora son sforzato a dare questo disgusto a vossignoria, ma la mi perdoni poiché anco farà il simile la mia moglie che ancor lei è stufa ma non la volsuto mai scriverlo per non li dare disgusto.
Nostro Signore la guardi. Di Villa, alli 10 di luglio 1610
Di Vostra Signoria Molto Illustre
Obedientissimo genero Alessandro Bentivoglio
Il particolare della Cena del ricco Epulone è tratto dalla tela attribuita a Mattia Preti e conservata presso la Galleria di Palazzo Barberini di Roma (se ne legga la scheda a questo indirizzo)